“Inventa dunque nella tua lingua se puoi o vuoi
comprendere la mia”
Jacques Derrida
Linguaggio e Langage
Il lavoro del traduttore, che opera la conversione da un linguaggio sconosciuto ad un linguaggio familiare, è una delle metafore più prossime del vivere di ogni uomo, poiché ogni uomo, inconsapevolmente, si trova a dar voce all’enigma della propria soggettività attraverso le forme definite ed universali della lingua ed avvertirà, a tratti, l’inadeguatezza delle parole che usa nel momento stesso in cui esse vogliono descrivere stati d’animo, o vogliono restituire le suggestioni emanate da un sogno o da un’opera d’arte. Qualcosa si “perde”, proprio laddove è più urgente il bisogno di chiarire e dominare un sentimento, e le parole evidenziano un’assenza, un’alienazione rispetto all’oggetto sconosciuto che anelano possedere. Paradossalmente, è proprio a partire da questa alienazione che si apre la frontiera della ricerca di noi stessi, perché riconoscendo lo scarto tra linguaggio dell’inconscio e linguaggio cosciente, riconosciamo che c’è un’istanza che ci precede e guida il nostro parlare. Con l’evento del lapsus o della dimenticanza, possiamo accorgerci che noi non parliamo, ma “siamo parlati” dalla nostra soggettività profonda, oltre le regole del discorso oggettivo. Le parole non svelano, ri-velano: non scoprono mai definitivamente il vero significato di ciò che le fa affiorare, anzi, finiscono sempre per tradirlo, eppure sono l’eco più importante del nostro essere. Sono un “velo” che si apre e si richiude continuamente sull’enigma che ognuno porta con sé, e solo chi non le considera come gabbie tramite cui archiviare ogni significato, tributa alle parole la loro sacralità primitiva.
Nelle opere della serie Langage di Caterina Ciuffetelli è proprio il senso essenziale della sacralità del linguaggio ad avanzare verso lo spettatore, con tutta l’immediatezza dell’impressione visiva. Non “sono” una lingua, ma evocano il luogo silenzioso che sta al margine di ogni linguaggio, oltre i significati attribuiti convenzionalmente alle parole e alle strutture sintattiche. Inutile, dunque, cercare una corrispondenza tra la successione calligrafica e lo svolgimento di un pensiero logico; inutile indagare su regole legittime di decodifica o traduzione: i Langage sono pura presenza di significante e si affacciano su quella dimensione limite del “non detto”, immanente rispetto ad ogni parola scritta o pronunciata, che riguarda l’inafferrabile contingenza del sentire, e che è allo stesso tempo al di là dell’orizzonte e al di qua della nostra pelle. Il segno della Ciuffetelli, infatti, non appare come depositato stabilmente sulla tela, ma sembra affiorare dal sottosuolo e sul punto di sprofondarvi nuovamente, in relazione ad una rete di forze causali su cui l’artista stende una sabbia opalescente per mantenerne il segreto.
Il carattere primitivo dei Langage, che va colto ben oltre la somiglianza visibile con le grafie di epoche remote, risiede nell’esistenza stessa del segno. Ciuffetelli mette in scena il gesto arcano di ogni uomo che sulla sabbia lascia delle tracce: libero da qualsiasi vincolo con la dialettica simbolica della lingua, egli non scrive qualcosa di definibile, ma insiste semplicemente sul proprio essere al mondo, hic et nunc, e sulla propria irripetibile identità.
In questo senso le opere Langage richiamano alla sacralità del linguaggio: non sono passibili di traduzione, perché estranei al sistema delle regole linguistiche, eppure, con la loro peculiare calligrafia, la schietta consistenza materica e la mutevole reattività alle vibrazioni luminose, affermano la singolarità psichica e carnale di chi li ha creati. Appartengono alla dimensione del non detto, ma sono tutt’altro che muti: rinunciano al limite della parola e offrono in dono un silenzio vivo entro cui si mostra il senso dell’indefinibile.
[M. Caterina Guerra]