Nel 2011, Michele Lambo mi aveva segnalato questa artista di Terni assicurandomi che la sua ricerca avrebbe suscitato il mio interesse. Incuriosito ho fatto una ricognizione tramite Facebook cercando di vedere cosa facesse. Dalle descrizioni di Michele avevo intuito che si occupasse di segni e ne ho avuto piacevole conferma spulciando i social e la rete.
Non conosco personalmente Caterina e spero che ciò avvenga. In questi anni impegni reciproci di varia natura hanno impedito un nostro incontro reale e non virtuale come sino ad oggi è avvenuto.
Recentemente Caterina con la quale ci siamo ripromessi di incontrarci, sono nel frattempo trascorsi sei anni, mi ha chiesto per e-mail di vedere i suoi ultimi lavori per un parere. Lo faccio molto volentieri. Conoscevo la sua produzione più antica, attenta al segno e alla memoria di esso, conosco ora le ultime proposte. I diciannove lavori di piccolo formato, tra frottage, cere e monotipi, restituiscono la sua attenzione all’indagine che conduce da tempo. In un gioco di rimandi e di segni, vuole imporre nuovi significati e suggestioni evocanti il valore insopprimibile del segno inteso come traccia, come testimonianza. Riconosce il valore della materia controllata e ne fa un uso espressivo convincente attraverso la manipolazione con stratificazioni e interventi mirati. Mi pare di capire che dichiari un forte rapporto con la scrittura e soprattutto con il segno affidandogli molta parte delle sue intenzioni espressive. Con disinvoltura attraverso sapienti impronte stratigrafiche, Caterina Ciuffitelli dialoga con l’osservatore in un percorso narrativo tra pittura e suggestione letteraria. Sistematiche contaminazioni di generi e linguaggi diversi, (frottage, monotipi) conducono ad esiti formali interessanti, articolano un viaggio per inediti percorsi.
L’artista per sovrapposizioni monocromatiche e velature intercetta ed evidenzia, strato sopra strato, griglia dopo griglia, il flusso continuo delle trasformazioni e dei rimandi segnici. Supportati questi ultimi anche da strumenti abrasivi e lacerazioni che ci conducono alla cultura del particolare e del frammento rivelatore di luoghi immaginifici e di spazi mai conosciuti. Raccontano di oblìi e di suggestive figurazioni dimenticate. Erratiche superfici generano metafore di contaminazioni di senso e di linguaggi; diventano allegorie di idee estranee alla pittura in sè, inquietanti segnali urbani, frammenti di civiltà perdute, racconti di particolari trascurati della realtà urbana. Quasi volesse, l’artista, sollecitare il senso di un passato da recuperare.
Queste nuove esperienze, sul tracciato ideativo che si dipana ed evolve dalle opere precedenti, riportano Caterina Ciuffetelli all’interno di una pittura di pensiero colto e consapevole. La tavolozza dell’artista concettuale è sostenuta da neri, bianchi e ocra che diventano non colori, suggerimenti di colore, che agiscono negli ambiti di una non pittura, di una dichiarata condivisione delle precarie certezze della nostra confusa e problematica stagione umana.
Per quegli incomprensibili processi del pensiero che portano ad associazioni e rimandi ho avvertito nella sua ricerca, e non può essere solo un’impressione, una certa tragicità di fondo nell’espressione materica da lei giocata con raffinata calibratura nelle impronte del dolore sulla superfice. Appaiono come ferite della terra che metaforicamente rimandano alle impronte del dolore su un volto sofferente.
I titoli dei lavori che non sono casuali ma rivelatori di un progetto ben chiaro all’artista, disvelano intenzioni e interessi ben definibili. The hole, (il buco) presuppone un interno e un dopo e suggerisce contenuti ignorati legati all’attesa e al desiderio. Mentre la forma conchiusa dell’opera random, (casuale) tra l’accidentale e il non voluto, tiene in debito conto l’equilibrio formale della struttura. Con primordial (primordiale) e in preistoric (preistorico), il richiamo al passato, affidato a probabili graffiti nelle opere su carta danno la misura dell’interesse dell’artista per il valore che si può attribuire al segno come traccia di un trascorso storico e se a questi si aggiunge one by one (uno per uno) che rinvia alla narrazione di un passato non specificato ma definitivo, l’intenzione appare chiara. Landscape (paesaggio) credo voglia affrontare tra casualità ed invenzione, tra graffi, segni e lacerazioni, il tema e l’analisi della geografia umana percepita con intenti simbolici e culturali in uno spazio descrivibile dalla forma rettangolare conchiusa in un territorio essiccato ed arido. L’altra opera concettuale Diagram (diagramma), convenzionale rappresentazione di una struttura in fase di sviluppo, si esplicita e completa con Double question, one answer (doppia questione, una risposta) come adeguata riflessione attorno ad un argomento da esaminare e risolvere affidandolo ad una unica soluzione.
Appaia evidente, se non scontato, che le suggestioni e gli spunti emotivi, e la forza evocativa che questi lavori mi offrono, potrebbero costituire per un critico militante, io non lo sono, una ulteriore lettura di correlazioni e rimandi culturali da approfondire.
Per non apparire, agli occhi di Caterina Ciuffetelli, un “critico” acritico mi avvalgo degli apparentamenti di altri artisti che certamente fanno parte del bagaglio culturale dell’artista la quale li tiene in debito conto. Mi convinco che l’artista, poiché l’arte nasce dall’arte e dalla sua dialettica, come opportunamente enunciava Niki de Saint Phalle, abbraccia e comprenda altre esperienze storicamente verificate come quelle di un materico Antoni Tàpies dai densi impasti attraversati da impronte, crepe e rugosità che vogliono non riprodurre pittoricamente la realtà, ma la realtà stessa. Mi riferisco anche alle geometrie conchiuse di un Mark Rothko sostenute da componenti emotive, ed ancora al rapporto dialogico tra l’opera e la materia delle esperienze informali di Wols, Michaux, Fautrier, Dubuffet, sino a Celiberti. Non escludendo Alberto Burri che ha indagato sulla qualità espressiva della materia usurata.
Esperienze fondanti di artisti che ci hanno preceduti credo costituiscano l’ossatura e il riferimento necessario della sua interessante ricerca sostenuta da sempre da velature e sovrapposizioni nelle composizioni rigorosamente simmetriche basate sugli archetipi, quadrato e cerchio, come forme conchiuse e definitive.
Nicolò D’Alessandro
Le recenti opere di Caterina Ciuffetelli non necessitano di una complessa nomenclatura di materiali in quanto in esse sono facilmente percepibili la materia e la luce che la invade.
In questa essenziale uniformità di materiali la superficie materica viene penetrata per assorbimento dalla luce risvegliando taluni ancestrali indizi di coscienza, segni ma meglio impronte che concedono spazio al tentativo della materia di farsi scrittura; in tal senso si riescono ad avvertire testimonianze calligrafiche che hanno la necessità esistenziale di una pagina che, come una sorta di monade dalla forma talvolta quadrata o rettangolare, è pervasa da una contaminazione geometrica che racchiude un contenuto misterioso. Pagina il cui off-limits è un continuum di se stessa, allusiva dell’infinita dimensione dello spazio e del tempo, categorie dalle quali è impossibile uscire e nelle quali è impossibile entrare.
Michele Lambo